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Madrid :: 10/11/2006

Comunicado en solidaridad con l@s compañer@s arrestad@s en mayo del 2006 en Pisa.

Organizador@s de la charla-debate "la caricaturización política; análisis de la figura del anarco-insurreccionalista".
Desde Madrid, l@s organizador@s de la charla- debate sobre "La caricaturización política: análisis de la figura del insurreccionalista" celebrada en el IV Encuentro del Libro Anarquista en Madrid queremos comunicaros que esta iniciativa se enmarca dentro de la campaña de solidaridad con l@s compañer@s arrestad@s en mayo del 2006 en Pisa.

Asumimos que estos golpes represivos son un elemento más de la guerra social existente entre el poder y las resistencias de la población a la que trata de imponerse.

Consideramos que la solidaridad se extiende no sólo a través de la comunicación de información de los casos concretos, no sólo a través del apoyo material a l@s compañer@s represaliad@s, si no, extendiendo el conflicto y la lucha en todos los frentes y con todos los medios a nuestro alcance. Siendo sólo la lucha la herramienta y el medio para conseguir destruir aquello que nos convierte en esclavos.

El conocimiento de la realidad que construimos, la reflexión sobre nosotr@s mism@s y las condiciones de lo existente en las que estamos insert@s, es necesario para poder actuar y es por ello que decidimos realizar esta charla.
Para poder desarrollar un evaluación crítica sobre la desdibujada figura mediático-policial-judicial del anarco-insurreccionalista. Representación creada en función de las necesidades del poder para tener un personaje fantasmónico y maleable con el que reprimir y dividir al movimiento anarquista. En su ensaño para reprimir al resto de amenazas sociales que cuestionan o pudieran cuestionar su poder.

Un personaje que, valiéndose de la teoría anarco-insurreccionalista de la que se desprenden algunas propuestas organizativas y metodológicas que tratan de abrir debate al interno del movimiento anarquista a partir de los años 80 sobre todo en Italia, desdibuja rasgos, exageran algunos y ocultan otros.

El poder habla del uso del uso del "método violento"¿?, del doble nivel, de la actuar localmente, y de los grupos de afinidad. Sin definir que quiere decir con ello, vaciando el concepto de su significado y rellenándolo de valores negativos para poder utilizarlo indiscriminadamente en su estrategia represiva.
Siendo algunas de las atribuciones que da el poder al anarco-insurreccionalismo lo exactamente opuesto de lo que plantean las propuestas insurreccionalistas.

A través de la autocrítica, de la reflexión tratamos de conocer para poder actuar, rechazando los estereotipos que el poder trata de proyectarnos e imponernos y a los que parece que algunos elementos del movimiento anarquista asumen de forma acrítica e irreflexiva, reproduciendo poses o criticando sin conocer.

Esperamos que esta iniciativa que realizamos haya servido para potenciar el debate organizativo y metodológico, para romper estereotipos, empezar a desarrollar un planteamiento estratégico que nos permita accionar revolucionariamente.

Además de dar a conocer el caso particular de l@s compañer@s arrestad@s en Pisa.
Queremos agradecer a todos y todas las asistentes su participación y os animamos a seguir con el debate y a solidarizarse activamente con los y las compañeros/as arrestados/as en cualquier parte del globo.

Adjuntamos también un texto de uno de los ponentes en el que por extenso se desarrolla esta temática, esperamos poder tener la traducción al castellano lo más pronto posible.

MADRID - Novembre 2006

La caricatura dell" "anarchico-insurrezionalista" e l"insurrezionalismo anarchico

Il potere costituito si rafforza qualora la sua totalità sia ravvivata dalla competizione fra le diverse componenti politico-economiche che la costituiscono, che riescono così, nel loro complesso, a generare il consenso necessario al funzionamento del sistema. Tutte le dittature, alla lunga, manifestano la loro debolezza proprio perché viene loro a mancare il consenso, tacito o manifesto, di parte consistente del sociale. Il meccanismo democratico è quel sistema che meglio garantisce la persistenza del potere accentrato e che pare il più consono a garantire il superamento delle periodiche crisi dello sfruttamento capitalistico nelle molteplici maniere in cui si sono finora manifestate.

Ciò che neppure il potere democratico può ammettere è il conflitto che va oltre la competizione, e che pertanto si pone nei suoi confronti come tentativo o stimolo non solo critico-speculativo, ma operativamente distruttivo, a maggior ragione se tale operatività distruttiva si insinua nei meccanismi che inceppano il flusso del consenso, tacito o manifesto, al sistema.

Tuttavia, almeno per noi anarchici, risulterà evidente anche un altro aspetto del rapporto tra il potere costituito e quelle forze, movimenti o partiti, che si scontrano con esso in modo radicale: gli anarchici vogliamo distruggere definitivamente ogni forma di potere costituito, altri movimenti e partiti intendono conquistare il potere vigente per darne vita ad uno nuovo. A seconda di cosa si vuol fare del potere costituito, ci si dispone nella lotta contro di esso, così che se lo si vuole distruggere definitivamente si attuerà un certo tipo di lotta, ci si organizzerà in un dato modo, si instaurerà un certo rapporto con quelle componenti sociali che si individuano come possibili referenti rivoluzionari. Se invece il potere costituito si vuole attaccare al fine di conquistarlo, altri metodi organizzativi e di lotta verranno dispiegati, ed il rapporto con le componenti sociali che si vogliono coinvolgere nella conquista del potere sarà conseguente a tale scelta.

Tutto ciò è ovvio, ed appare scontato per noi tutti, eppure è da tale ovvietà che dobbiamo partire per tentare di afferrare in tutta la sua portata la funzione della caricatura dell" "anarchico-insurrezionalista" che il capitale-Stato nella sua versione italiana ha elaborato originariamente, col supporto dei suoi strumenti mediatici, e che poi è stata esportata in altri contesti, tra cui il suolo iberico.

L"anarchismo insurrezionalista

L"espressione "anarchismo insurrezionalista" è data da un sostantivo, anarchismo, e da un aggettivo, insurrezionalista, il cui significato è però di già contenuto nel sostantivo; in altre parole l"anarchismo non può non essere insurrezionalista, pertanto quella espressione è in certo qual modo una tautologia.
Tuttavia essa non è invenzione del potere costituito, ma è emersa come necessaria puntualizzazione dalla dinamica di un dibattito che si è variamente articolato nell"arco di almeno 3 lustri, a partire dai primi anni "70 del secolo scorso, in seno al movimento anarchico presente nei territori dello Stato italiano.
Il contesto storico-sociale in cui si articolò tale dibattito credo sia più o meno conosciuto, o perlomeno ciascuno di noi potrà averne una immagine più o meno articolata. Non è questa la sede per scendere nei dettagli, tuttavia sarà necessario soffermarmi su alcuni fondamentali momenti senza la comprensione dei quali non si capirà neppure il gioco che il potere costituito intende porre in essere con il ruolo che esplica la sua caricatura dell" "anarchico-insurrezionalista".

Prima però ancora due parole, certamente scontate, sull"insurrezionalismo anarchico.
Se il termine rivoluzione significa modificazione radicale di uno stato di cose, rivoluzione sociale significa mutamento radicale della società, quindi dei rapporti che sorreggono un sociale dato. Non solo gli anarchici sono rivoluzionari, ma lo sono anche altre entità organizzate in partiti o altri modi. Ciò che distingue gli uni dagli altri è il modo in cui intendono rivoluzionare l"esistente, così che nel corso stesso dell"articolarsi temporale dei movimenti di classe che auspicano un mutamento radicale dell"esistente sono emerse quelle posizioni che erano rivoluzionarie solo a parole (in quanto poi nella pratica si son manifestate riformiste), quindi le posizioni chiaramente giacobine che intendono effettuare rivoluzionamenti impossessandosi del potere costituito e non tenendo conto alcuno delle masse sfruttate ed oppresse, poi le posizioni comunque autoritarie che pur coinvolgendo nel processo rivoluzionario le masse subalternizzate non le ritengono in grado di gestire da se stesse la propria esistenza per cui le organizzano in modo tale da ridurle a strumenti operativi delle strategie dei vertici, ed infine gli anarchici che - in ciò conseguenti - intendono rivoluzionare l"esistente con la partecipazione attiva di masse proletarie più o meno consistenti.
Un"altra distinzione che occorre tener presente è quella concernente il modo in cui si intende rivoluzionare l"esistente, e per gli anarchici il processo rivoluzionario non può che sboccare nel momento distruttivo coinvolgente le stesse masse sfruttate, ovvero nell"insurrezione generalizzata in quanto sollevazione contestuale, pur originariamente circoscritta nel tempo e territorialmente, di una consistente fetta di subalternizzati che attaccano e distruggono sedi, istituzioni, uomini del potere costituito presenti nel territorio.

Occorre riflettere attentamente sul fatto insurrezionale, per coglierne le dinamiche interne e quelle valenze che nel processo rivoluzionario complessivo, cioè nei momenti che lo precedono e che lo seguono, assurgono ad importanza capitale, ed il cui riscontro rintracceremo infine - come tentativo di scongiurarne la portata - nella caricatura dell"anarchico-insurrezionalista.
L"insurrezione generalizzata è evento tanto intenso quanto di breve durata. La sua intensità non consiste solo nella distruzione materiale delle cose e delle persone del potere costituito, bensì coinvolge tutti i momenti della vita individuale e collettiva: è anche esplosione che spezza i legami psicologici, le catene di natura educativa ed ideologica che avvincono le persone, è la rottura improvvisa e gioiosa delle gabbie in cui la servitù volontaria si alimenta dall"umiliazione dell"animo e dall"impotenza degli individui. Proprio la dinamica dell"insurrezione sociale impone dei limiti, degli argini ben solidi a tutte quelle tendenze che nel seno stesso dell"anarchismo intendono ridurre l"operatività anarchica ad un metodo monolitico: ora educativo-pedagogico, ora propagandistico, ora letterario-culturale, ora - perché no - lottarmatista, esclusivamente. Fatto è che l"insurrezione è momento coinvolgente che non rimane circoscritto all"ambito di coloro che precedentemente hanno avuto modo di simpatizzare, accogliere, condividere le posizioni rivoluzionarie o la necessità dell"anarchia: è esplosione contagiosa che coglie ampi strati di popolazione che forse per la prima volta nella loro esistenza possono sentire scorrere nell"animo e nelle vene le libere tensioni che la vita comporta, senza le paure ingenerate dalle frustrazioni e repressioni inculcate, e senza alcuna restrizione o obbligo imposto dai meccanismi determinati dall"ordine sociale basato sul rapporto comando-obbedienza.

Solo l"anarchismo vede nell"insurrezione generalizzata il momento portante del processo rivoluzionario in cui le masse degli sfruttati si riappropriano del loro destino, in prima persona, e si autorganizzano al fine della lotta e di nuovi parametri di vita collettiva.

Eppure, nel contesto preinsurrezionale, con momenti di insurrezione generalizzata vera e propria, qual"era la situazione sociale nei territori dello Stato italiano fin dai primi anni "70 del secolo scorso, emersero posizioni possibiliste e socialdemocratiche, in seno al movimento anarchico, che reputavano essere superata l"operatività insurrezionalista dell"anarchismo.

Uno sguardo al movimento anarchico nei territori dello Stato italiano, nei decenni 1970-"80.

Il movimento sociale che si articolò a livello planetario a partire dal "67-"68, iniziò a manifestare la perdita della centralità operaia, ed in generale del momento del lavoro nel processo rivoluzionario e quindi nell"insurrezione generalizzata. Non è una considerazione col senno di poi, ma in ambito libertario ed anarchico fin da allora emersero analisi, letture e prospettive che direttamente o indirettamente ponevano in luce tale consapevolezza (situazionismo, rivista

Anarchismo, una serie di scritti di Alfredo Bonanno, tanto per attenermi a quei momenti che direttamente concorsero a promuovere ed arricchire il dibattito in seno al movimento di allora, nei territori dello Stato italiano). Emergevano tensioni e tematiche che nell"ambito di questo lavoro non si possono che accennare, le cui dinamiche attraversavano in modo trasversale l"intera vita sociale: la condizione della donna, la condizione dell"omosessualità, il problema ecologico, ad esempio, iniziano a far capolino e nonostante tutte le compressioni o stiracchiature di ordine ideologico, mal rientravano anche allora nelle analisi ottocentesche del conflitto di classe incentrato sul momento economico della vita umana.

Ma, in generale, se il mondo del lavoro (cioè della produzione, della distribuzione e del consumo dei beni materiali dell"esistenza) iniziava a perdere la centralità di cui aveva goduto per oltre un secolo e mezzo nelle componenti rivoluzionarie di classe, anche il sindacalismo, ovvero un metodo di lotta ed uno strumento organizzativo incentrato sul mondo del lavoro dovette risultare coinvolto nelle analisi e nei dibattiti di allora.

Il fatto che gli anarchici in generale ed alcuni in particolare, venissero accusati, ed assassinati, arrestati, costretti all"esilio, ed additati al pubblico ludibrio quali autori di quelle che erano invece stragi di Stato - e cioè momenti strategici del terrorismo dello stato-capitale occidentale di allora mirante a scatenare una tensione sociale diffusa tale da giustificare ogni intervento delle istituzioni a garanzia "dell"integrità dei cittadini" (in realtà del potere costituito) -, unitamente al diffondersi dello scontro sociale a livelli sempre più elevati ed al massiccio e vasto utilizzo delle armi da parte delle masse proletarie, quindi al costituirsi di partiti armati esplicitamente autoritari (le Brigate Rosse, per tutti), determinò una situazione da cui emerse in maniera chiara l"esistenza:

- di una frangia di movimento che, pur esplicitamente definentesi anarchica, negava validità non solo al partito armato, ma alla lotta armata in generale e pertanto alla metodologia insurrezionalista,

- di una componente assai ampia che, legata alla concezione della centralità del momento del lavoro, restava ancorata al sindacalismo rivoluzionario, e pertanto l"insurrezione generalizzata la attende(va) e prepara(va) in quell"ambito, su cui ogni altra considerazione (il problema della liberazione nazionale dei popoli colonizzati, quello della condizione della donna, ecc.) faceva convergere

- di una assai variegata componente del movimento che non solo si ritenne interna allo scontro sociale generalizzato in ogni sua versione e momento, ma riteneva anche utile operare nel senso dell"arricchimento e radicalizzazione ulteriore del conflitto agendo nell"immediatezza secondo i parametri insurrezionalisti.

Sarebbe un gravissimo errore, però, far coincidere queste tre tendenze come specificative delle organizzazioni anarchiche allora esistenti - la Federazione Anarchica Italiana (FAI), i Gruppi Anarchici Federati (GAF), i Gruppi di Iniziativa Anarchica (GIA) per non accennare che alle principali - da un lato, e delle situazioni individuali e collettive non facenti parte di tali organizzazioni specifiche, dall"altro. Il dibattito e le posizioni rivendicate, interessavano ogni situazione del movimento, e soltanto col trascorrere del tempo queste ultime si sono in parte definite - così che la situazione odierna è frutto diretto di quella esperienza -, ed in parte hanno dato vita ad ulteriori confusioni, fraintendimenti, equivoci di notevole portata.

Rivoluzione e controrivoluzione dal "68 in poi

Nello scacchiere internazionale della divisione del mondo in due blocchi contrapposti, quale si delineò a seguito della seconda carneficina mondiale, l"area mediterranea ed in particolare i territori dello Stato italiano, che più ci interessano, assumevano un ruolo fondamentalmente strategico del blocco occidentale caratterizzato dalla supremazia del capitalismo di tipo liberistico o basato sul ruolo determinante assunto dalla proprietà privata. Il movimento di classe che si articolò in seguito alle rivolte e contestazioni studentesche elevò lo scontro sociale coinvolgendo nel conflitto interi strati di popolazione, fino a determinare terrore nelle classi che gestivano il potere costituito. In alcune situazioni la reazione del capitale e degli Stati si tramutò in terrorismo stragista, e l"ambito territoriale sotto il dominio dello Stato italiano fu uno di questi.

Qui prese avvio quel periodo caratterizzato, sul fronte della controrivoluzione, dalle stragi di popolazione, mirante ad incutere preventivamente (fin dal 1969), terrore diffuso tra la popolazione e pertanto la richiesta di "misure di sicurezza" a quello stesso potere che ne era il diretto responsabile. E prese avvio la campagna repressiva e criminalizzante ai danni degli anarchici: ricordo di sfuggita l"assassinio del compagno Giuseppe Pinelli, le centinaia di arresti, le migliaia di intimidazioni ai danni dei compagni e delle compagne, l"arresto di Pietro Valpreda e l"accusa infamante che lo voleva autore principale della strage alla Banca dell"agricoltura, sita in piazza Fontana a Milano, del 12 dicembre del 1969.

Magistrati, politici, lacchè pisciainchiostro, polizia, carabinieri e quant"altri costruirono allora, a sostegno dell"operazione terroristica in corso, la caricatura dell"anarchico stragista e bombarolo.

La necessità di difendere i compagni, per parte di alcune componenti del movimento ben presto assunse i connotati della difesa del buon nome dell"anarchia e dell"anarchismo, e nel giro di breve tempo l"apparente intenzione di contrastare la caricatura dell"anarchico stragista, si tramutò in un"altra caricatura: quella dell"anarchico educazionista, del militante tutto cuore e cervello intento a diffondere le bellezze ideali dell"anarchismo e ad illustrare al genere umano le dolcezze ed i sollazzi paradisiaci della società cui l"anarchico propende.

Tali posizioni, che in contesti sociali diversi avrebbero pure potuto avere una loro valenza positiva in funzione propagandistica, ne assumevano invece una del tutto negativa nella situazione specifica, che era di scontro sociale generalizzato che si manifestava ogni giorno a livelli sempre più avanzati. Non era scontro di posizioni ideali quanto scontro reale in cui l"uso delle armi, gli attacchi distruttivi, le opere di sabotaggio diffuse colpivano via via sedi, strutture, uomini istituzioni del dominio.

La costituzione di formazioni armate da parte di tendenze autoritarie del movimento rivoluzionario, ed in particolare di coloro che pretendono svolgere il ruolo di avanguardie rivoluzionarie al fine di dirigere l"evoluzione del processo rivoluzionario, e nello specifico di cavalcare, al fine della conquista del potere, il momento insurrezionale generalizzato, rappresentò un momento decisivo del dibattito in seno all"anarchismo.

Una parte di movimento indirizzata a salvare il buon nome dell"anarchia, a fronte della caricatura dell"anarchico-stragista, prendendo a pretesto l"estraneità dell"anarchismo ad ogni ipotesi di partito armato, si indirizzò sempre più verso interventi di tipo esclusivamente letterario, di vero e proprio collaborazionismo con situazioni populiste e movimenti di recupero sociale più retrive.

La componente che possiamo indicare come "sindacalista" e che operava ponendo al centro delle sue considerazioni rivoluzionarie-insurrezionaliste il movimento dei lavoratori, in parte si aprì alle prospettive insurrezionali diffuse che esulavano dall"ambito del lavoro, e per altra parte rimaneva ancorata alla concezione secondo cui l"insurrezione vittoriosa scaturirà dalla maturità e dalla volontà, nonché dall"autonomia della classe lavoratrice (ed ovviamente, per tanti, maturità, volontà, autonomia erano, in quel contesto, ancora in formazione).
La componente che si manifestò più interna ai processi sociali ed alla lotta in corso, fu quella che non solo ritenne valida la rivendicazione della prassi insurrezionalista all"anarchismo, ma la slegò dalle concezioni ottocentesche della lotta di classe, sulla base di analisi sulle ristrutturazioni in corso della società capitalistica, sulle conseguenze emergenti dall"applicazione delle nuove tecnologie ai processi produttivi, sulla inedita ricomposizione sociologica che tutto ciò comportava, e dunque sui ruoli e sulle tensioni emergenti a livello generalizzato.

Vediamo almeno alcuni dei momenti portanti di questa ultima componente del movimento anarchico che, oltrepassando i limiti della concezione sindacale della lotta di classe, non solo denunciò - e ne previde la degenerazione - la componente collaborazionista e rinunciataria della prassi insurrezionalista cui ho accennato, ma dimostrò la validità teorica e pratica dell"agire insurrezionalista anarchico in quanto più consono alle modificazioni e ristrutturazioni in corso dell"assetto capitalistico postindustriale.

Critica del metodo sindacalista

Il sindacalismo, anche quello anarchico, è conseguenza della concezione secondo cui la vita umana, che si svolge in società, è incentrata sul momento materiale-economico dell"esistenza. Il modo capitalistico di produzione, che si articola in diverse fasi a partire dalla accumulazione originaria del capitale, per attraversare poi il momento produttivo incentrato sull"opificio, quindi sulla produzione industriale, sul piano sociale manifesta una (quasi) netta distinzione fra coloro che producono (o che costituiscono forza-lavoro di riserva in funzione anche di ricatto per mantenere i salari a livello di produzione del profitto), e coloro che invece sono proprietari dei grandi mezzi di produzione (terra, opificio, fabbrica) e del danaro necessario ad innescare il processo di produzione delle merci. Questa divisione manichea del sociale è all"origine della concezione della lotta di classe secondo la centralità del momento economico produttivo. Alla classe capitalistico-borghese si oppone la classe dei produttori. La rivoluzione sociale deve riportare equità fra tutti gli esseri umani, e dato che i produttori sono quelli che hanno maggiore interesse a rivoluzionare l"esistente in tal senso, debbono organizzarsi, costituire la forza sufficiente ad impossessarsi anche dei mezzi di produzione, in modo tale che, eliminando il parassitismo sociale, del frutto del lavoro collettivo tutti possano usufruirne secondo i propri bisogni.
L"organizzazione dei produttori è organizzazione di tipo economico: il sindacato (in quanto tale non costituisce un punto di riferimento ed aggregativo sulla base di concezioni ideali politiche, che ogni singolo produttore può coltivare a suo piacimento).

Questa, in due parole, la concezione anarchica dell"organizzazione legata al metodo sindacale; non a caso in seno alla Prima Internazionale la divisione che si consumò fra autoritari ed antiautoritari trovò la sua più esplicita espressione nella diversa concezione dell"organizzazione proletaria, che per i secondi doveva avvenire sulla base degli interessi economici, e sulla funzione che questa doveva avere: il sindacato univa i proletari, il partito politico li teneva separati e frantumati.

La concezione anarcosindacalista è conseguente: i produttori organizzati nel sindacato hanno nel contempo modo di raggiungere la forza necessaria ad imporre miglioramenti parziali nell"attualità, e di affinare le proprie capacità sovversive indirizzate verso la insurrezione generalizzata espropriatrice dei mezzi di produzione. Proprio la CNT rappresenta, per antonomasia, e per quanto ha potuto manifestare nella storia della lotta di classe, l"apice delle possibilità insite nell"anarcosindacalismo. Ma il momento cruciale della sua espressione, la rivoluzione sociale del 1936-"39, ne ha fin da allora evidenziato i limiti.
Qui interessa notare almeno due cose:

a) il sindacato non è esclusivamente uno strumento organizzativo di lotta, è anche il fulcro su cui secondo la concezione anarcosindacalista si costruirà il futuro liberato. Ciò significa in certo qual modo organizzare preventivamente il futuro sociale emergente dall"insurrezione generalizzata, facendo leva sul momento produttivo-materiale della vita umana;

b) la concezione sindacale presuppone una sorta di continuità (storicismo, progressivismo, finalismo) tra la società capitalistica che si vuole distruggere, ed il futuro liberato, in quanto in tutti e due tali contesti sociali l"esistenza umana rimane sostanzialmente intesa come ruotante attorno al momento materiale.
Ma se l"assetto della società capitalistica assume strutturazioni e connotati che non rientrano più nelle categorie della divisione manichea del lavoro e pertanto della medesima società, sfumano i limiti di classe, mutano i contorni che prima individuavano gli sfruttati e gli sfruttatori, qualche volta si capovolgono i ruoli stessi che nella società di tipo industriale erano invece svolti da composizioni di classe ben precise.

Tali mutamenti e sfumature, rendono inservibili i vecchi strumenti organizzativi e metodologici della lotta di classe, anche quelli propri dell"anarcosindacalismo. O meglio, perdono la loro centralità. Tale perdita di centralità comporta la necessaria rivalutazione dell"insurrezione generalizzata: le componenti sociali in cui si può innestare la scintilla insurrezionale, o da cui può emergere, non è necessariamente il mondo del lavoro, ovvero le classi "lavoratrici"; l"insurrezione può sortire da componenti sociali la cui aggregazione va oltre l"interesse di classe secondo le categorie del passato.

Un esempio per tutti, attualissimo: la sollevazione delle popolazioni della Val Susa contro la costruzione della ferrovia ad alta velocità. Non è uno spezzone del "mondo del lavoro" che si solleva in modo tale da assumere connotazioni insurrezionali: è bensì un aggregato sociale che si è catalizzato su una rivendicazione parziale comune a tutti, che se si vuole potrebbe essere valutata anche come di tipo "egoistico", in quanto sorretta da un ragionamento come quello che segue: «qui la ferrovia non passa, ma altrove, se non vi è opposizione, che passi pure». Nulla cioè che possa essere nell"immediato legato alla contestazione globale della società del capitale-Stato, almeno nulla di tutto ciò per la gran parte delle persone che hanno dato vita a quel movimento anti-TAV che tuttora rimane aperto a prospettive insurrezionali.

Le critica del sindacalismo, quindi alla concezione della centralità del momento produttivo nei processi rivoluzionari, non si ferma a tale constatazione, va oltre fino a rilevarne le carenze sul piano metodologico.
Mentre il sindacato prepara ed allena alla futura insurrezione espropriatrice, ed è esattamente in ciò che consiste la metodologia insurrezionalista dell"anarcosindacalismo, nei contesti sociali postindustriali non vi è alcuna possibilità di "preparazione", di preventivo allenamento se non degli insurrezionalisti medesimi, ovvero dei compagni e delle compagne che fin da subito maturano la tensione necessaria. Una tale "preparazione", un tale "allenamento" sono impossibili a causa del continuo mutamento della stratificazione e composizione sociale dei componenti e dei momenti su cui si catalizzano le energie in possibilità insurrezionali: raggiunto o perso il fine per cui è sorta la sollevazione contro la ferrovia ad alta velocità, potranno o non potranno esservi altri obiettivi su cui si catalizzeranno nuove aggregazioni contestatarie in quella popolazione ed in quel territorio.

Detto in altri termini, l"organizzazione anarcosindacalista è stabile nel tempo e nelle sue componenti (che mutano entro un certo limite) per cui è possibile svolgervi anche un lavoro "preparatorio" dei sindacalizzati in funzione di quel che si vuole (dunque anche dell"insurrezione avvenire), e ciò era in perfetta sintonia con la stabilità (pur relativa) dei ruoli sociali; la composizione sociale dei movimenti protestatari attuali non presenta cristallizzazioni di questo tipo (nello stesso mondo lavorativo la precarietà del posto e delle funzioni è cosa ormai entrata nella normalità).

In tale contesto, in definitiva, la funzione dell"insurrezionalismo per l"anarchismo è ben lungi dall"essere superato, anzi, debitamente riconsiderato, e metodologicamente aggiornato ai tempi fa dell"anarchismo (nella sua accezione di movimento reale di lotta e di dottrina rivoluzionaria) la punta avanzata delle possibilità rivoluzionarie che possono aprirsi nel sociale.
Ma se il metodo sindacale risulta superato nel nuovo contesto sociale che si è delinato diciamo negli ultimi decenni, allora anche l"organizzarsi anarchico deve riconsiderarsi alla luce della funzione che l"anarchismo deve continuare a svolgere. Ciò è nella logica delle cose.

E le nuove maniere dell"organizzazione anarchica non possono che rifuggire le cristallizzazioni, essere fluide, adeguate a supportare le nuove condizioni generali di precarietà, mutamento di situazioni e plasticità con cui emergono nel sociale stimoli e tensioni ribellistiche, ovviamente senza dimenticare che è nella insurrezione generalizzata, partecipata in prima persona da più o meno consistenti masse proletarie che l"anarchismo ha la sua ragione di essere. Un aspetto fondamentale da cui emerge la posizione della componente del movimento anarchico presente nei territori dello Stato italiano, nei decenni qui presi in considerazione, che rivaluta la metodologia insurrezionalista, sta proprio qui.

L"organizzazione anarchica insurrezionalista

Dopo quanto appena detto risulterà più chiara l"importanza che assume il momento organizzativo affinché l"anarchismo continui ad essere insurrezionalista, pur operando in contesti postindustriali.Se la possibilità insurrezionale è sempre aperta, in quanto la ristrutturazione capitalistica ed il modificarsi dello scacchiere politico internazionale pur avendo decretato una sola universale forma di dominio non hanno di certo eliminato le ragioni della ribellione sociale ed ancor meno quelle dell"agire anarchico, si rende indispensabile da un canto trovare nuove forme di organizzazione specifica anarchica, e dall"altro nuovi strumenti organizzativi che relazionino gli anarchici al sociale, in modo che questi riescano a recepire, o infondere o accendere la scintilla insurrezionale.

Tuttavia per "sociale" non deve intendersi un qualcosa di amorfo, indefinito, generico agglomerato di uomini e donne, e pertanto irraggiungibile in quanto avvolto nella nebbia. Sta alla preparazione, sensibilità, tensione degli anarchici valutare quei settori del sociale che, momento per momento possono essere recettibili all"intervento nostro, o essere suscettibili essi stessi di sollevazioni, proteste, ribellioni.

E qui è indispensabile evitare subito un primo equivoco: non perché il momento economico produttivo ha perso la centralità di cui godeva nella progettualità rivoluzionaria del passato, si devono a priori scartare tutte le situazioni che da tale ambito emergono come protesta, contestazione, ribellione! Più semplicemente, e lo ribadisco, significa che tutti gli ambiti del sociale possono risultare validi in funzione dell"insurrezione.
Ora, una organizzazione specifica anarchica, composta cioè di compagni e di compagne, che risponda ai criteri di fluidità nel tempo e nello spazio, che sia direttamente indirizzata a partecipare e stimolare nell"immediatezza del vissuto l"insurrezione generalizzata, allo scopo di evitare cristallizzazioni ed impantanamenti in momenti burocratici e formalizzanti potrà concretizzarsi tra coloro i quali condividono una analisi, un progetto, una prassi e metodologie compatibili. Il fine di una tale organizzazione non consiste nella crescita numerica, che potrà pure esservi ma in funzione del fine reale che è quello di stimolare all"insurrezione. Tuttavia è anche vero che una organizzazione anarchica specifica, grande o piccola che sia, rappresenterà per quei settori sociali individuati come situazione su cui lavorare, un corpo estraneo, in un certo senso, una componente dell"universo politico mirante a strumentalizzare i bisogni insoddisfatti e le proteste eventuali cui gli interessati danno corpo.

Si rende necessario pertanto che alla organizzazione specifica anarchica concepita nella maniera appena detta (cioè non caratterizzata da cristallizzazioni e formalismi, bensì dalla natura informale adatta alla sua attualizzazione immediata ai contesti in cui si opera), si affianchino altri momenti organizzativi specifici non del movimento anarchico bensì dei contesti di lotta sociale in cui si agisce, e queste formazioni (comitati di lotta, associazioni, o quant"altro si voglia) siano partecipate, magari dietro stimolo degli stessi anarchici, non solo dai compagni e dalle compagne, bensì da tutti coloro che sono interessati alla lotta da portare avanti. Considerato che questo scritto è rivolto a compagni iberici, è possibile il parallelismo organizzativo fra la realtà appena detta della organizzazione specifica anarchica (gruppo di affinità) con la FAI (Federazione Anarchica Iberica) da un lato, e dall"altro fra le organizzazioni specifiche di lotta (o gruppi di base, ove potranno confluire quanti partecipano alla lotta specifica al di là che siano anarchici o meno) e la CNT (che accoglieva lavoratori anarchici e non anarchici). Tuttavia il parallelismo finisce qui in quanto gruppi di affinità e gruppi di base originano in funzione della sortita della lotta e della sua radicalizzazione fino al momento insurrezionale, FAI-CNT agivano in funzione anche della costruzione del futuro a partire proprio dall"organizzazione preesistente.

Lotta armata e insurrezionalismo anarchico

Ho solo accennato - nel contesto generale dei due decenni presi in considerazione, nei territori sotto il dominio dello Stato italiano - allo scontro sociale in corso, inseparabile dal momento diffuso di lotta armata. Ma qui si apre un altro momento decisivo del dibattito e delle pratiche operative del movimento anarchico di cui si parla, e sono necessarie alcune precisazioni per sgombrare il campo da ogni confusione ed equivoco, che pure vi son stati e vi sono tuttora.
Per quella frangia del movimento che si riconosce sia pure a grandi linee nella tendenza insurrezionalista appena accennata, la lotta armata, l"uso delle armi in funzione dell"attacco distruttivo è uno dei momenti portanti della lotta complessiva. Un momento importante, indispensabile, ma non per questo necessariamente centrale, strategico al di là delle reali condizioni in cui si svolge lo scontro sociale.

Avere presente, esattamente in quest"ambito del discorso, quanto è stato detto prima in merito all"evento insurrezionale, forse aiuta a cogliere l"intera sua portata delle considerazioni in merito alla lotta armata.
Il processo liberatorio dalla servitù imposta dal dominio è complesso: non si tratta soltanto della riappropriazione dei mezzi di produzione. Il rapporto comando-obbedienza, padrone-servo implica la totalità dei momenti della vita sociale: si ubbidisce non soltanto perché chi comanda e domina ha organizzato il sociale in modo tale che vi siano al suo servizio istituzioni e forze in grado di rendere obbligatorio il comando, di punire chi non ubbidisce ecc., ma anche perché l"imperio del bastone è sostenuto da processi ed istituzioni secolari esercitanti influenze nefaste come valori morali inneggianti al rispetto della legge, dell"autorità, e che elevano a virtù l"accondiscendenza, fino a che la servitù volontaria diviene puntello indispensabile, ovvero l"altra faccia del rapporto comando-obbedienza.

La consapevolezza dei meccanismi che ingenerano sfruttamento materiale e subalternità volontaria non in tutti può verificarsi nel medesimo tempo e modo, e non è affatto detto che tale consapevolezza sia necessario preceda l"evento insurrezionale: se ciò fosse sicuro, avrebbero ragione gli educazionisti e tutti coloro che in un primo tempo mirano a conquistare all"anarchismo una quantità sufficientemente ampia di dominati, per poi, solo poi dare l"assalto al cielo. Non vi sono passaggi logici in tale ambito, né operazioni matematiche ad indicarci la strada. Rimane il dato di fatto che l"evento insurrezionale travolge nella rottura dei meccanismi che ingenerano servitù volontaria anche masse di scontenti, di ribelli, di proletari, di insorgenti non convinti precedentemente dalla propaganda anarchica, oppure da essa mai raggiunti.

A vedere le cose da quest"ottica, se pure non è da escludere affatto la valenza positiva della propaganda e le molteplici iniziative di carattere diverso che gli anarchici portano avanti quotidianamente (e che certamente in modo diretto o indiretto confluiscono nei tentativi insurrezionali), anche tali momenti, che possiamo indicare come cultural-propagandistici non possono di per sé assurgere a elementi centrali dell"operatività insurrezionalista anarchica. Rimangono spetti decisivi al pari di tutti gli altri.

Dunque alla concezione dell"insurrezionalismo anarchico così concepito deve affiancarsi, per essere conseguente, la visuale complessiva in grado di connettere i diversi momenti dell"operatività non in maniera casuale bensì in modo tale che intersecandosi l"uno all"altro si sostengano vicendevolmente e tutti convergano in progetto operativo capace di generare la scintilla dell"insurrezione. Così che l"attacco armato e, in generale, l"intervento immediatamente distruttivo accompagni e sia sostenuto da tutti gli altri.

Attribuire alla dinamite, al fucile, o al pugnale validità assoluta in quanto strumenti, e il conseguente metodo di attacco direttamente distruttivo come modalità che di per sé caratterizzerebbero l"agire insurrezionalista è, almeno per me e per parecchi altri, non solo insufficiente e travisante, ma operazione speculare a quella che attribuisce validità assoluta alla propaganda ed alle iniziative di tipo culturale.

Le problematiche legate alla lotta armata non si fermano a tale considerazione. Se è vero che son sempre possibili condizioni che impongono ai compagni ed alle compagne la totale clandestinità, che comporta restrizioni alla loro operatività rivoluzionaria - ma non necessariamente l"annichilimento di ogni attività progettualmente insurrezionalista, cioè connessa in certo qual modo al sociale - non è mica detto che la lotta armata, le azioni di attacco distruttivo impongano in se stessi la clandestinità dei compagni o dei gruppi. Se ciò appare evidente a tanti di noi, meno evidente potrebbe sembrare la messa in discussione della convinzione, pure non poco diffusa, secondo cui per una efficiente lotta armata sia necessaria la formazione di gruppi armati specifici al di là dei contesti sociali e dei livelli reali dello scontro di classe.

Come si può rilevare i due momenti si pongono su piani diversi: nel primo caso sono
le condizioni generali che, per la salvaguardia della vita dei compagni e dello stesso agire anarchico, impongono la clandestinità; nel secondo caso si paventa la volontaria costituzione di gruppi anarchici armati che si presuppongono più funzionali, in ogni caso, alla lotta insurrezionalista. Debbo soffermarmi un attimo sul secondo caso, in quanto sorretto spesso da convinzioni basate su errate conoscenze storiche, e su considerazioni equivoche.

L"efficientismo militare non può affatto coincidere con l"efficientismo anarchico, non sono la stessa cosa. Ciò non vuol dire di certo che gli anarchici non sono in grado di ben condurre una operazione armata. Ma per gli anarchici condurre una operazione armata in modo efficiente non può significare degenerare a livello di efficientismo militare: sarebbe un controsenso.

In secondo luogo l"eventuale efficienza dell"anarchismo non può comunque restringersi all"ambito dell"operatività armata: l"azione anarchica è complessiva, tanto da accogliere in totalità i molteplici livelli su cui si esplica: da quello culturale a quello propagandistico, da quello informativo ed educativo e quello immediatamente distruttivo.

Che cosa significa pertanto: "formazione di un gruppo anarchico armato", clandestino oppure no? Forse che tale gruppo si occupa esclusivamente di condurre operazioni armi in pugno? In che maniera, allora, salvo non siano le condizioni generali prima dette ad imporlo, si potrà mai conciliare questa specializzazione operativa esclusivista, con l"anarchismo? E, in prospettiva, una tale considerazione della lotta armata non potrà far scadere - e prendiamolo pure come incidente di percorso - il conflitto sociale in lotta tra eserciti contrapposti?

Ma forse, per "gruppo anarchico armato", clandestino o meno, non si intende affatto indicare una formazione di compagni e compagne che fanno uso solo delle armi, ma che fanno uso anche delle armi, tra gli altri mezzi a loro disposizione. Ma allora, per la logica stessa delle cose, non si tratta affatto di "gruppo armato anarchico" (in quanto lo sarebbe magari solo di notte, ma durante il giorno opererebbe con strumenti diversi da quelli che solitamente definiamo armi) ma semplicemente di "gruppo anarchico". Perché, anche alla luce delle considerazioni in questa sede evidenziate, comunque si intenda l"anarchismo, questo non può che essere indirizzato, fin da subito, o su processi e condizioni da costruire o di cui attendere la maturazione, oppure verso l"insurrezione, momenti tutti, comunque, che richiedono molteplici livelli d’intervento ed altrettanti molteplici strumenti operativi.

Come si può ben valutare spesso il linguaggio usato, ed il modo in cui si utilizza, non porta affatto quel minimo di chiarezza necessaria in argomenti così fondamentali, ma contribuisce a creare confusione ed equivoci di enorme portata.
Che sia ben chiaro, tutti, e perciò anche gli anarchici, possono dar vita a tutti i "gruppi armati" che vogliono, ma sarebbe opportuno che, quando si tratta di progettualità e metodologie oggetto di ampio dibattito nel movimento, si sia ben consapevoli degli equivoci che può ingenerare un linguaggio non corretto. Poi ciascuno è responsabile di se stesso e delle scelte che effettua.

Per terminare il notevole excursus, dirò qualche parola su Azione Rivoluzionaria, ovvero la formazione libertaria armata cui dettero vita compagni e compagne anarchici e libertari nel contesto sociale degli anni "70/"80, in ambiente italiano.
Senza dubbio la formazione di Azione Rivoluzionaria arricchì il dibattito sull"insurrezionalismo anarchico, ma non tutta l"area dell"insurrezionalismo (così come qua evidenziato) condivise quella scelta e le ragioni che vi sottostavano.

Nella geografia dello scontro generale di classe, come di già detto e ripetuto, il momento armato emergeva in maniera diffusa dall"intero sociale. Si trattava di ampliarlo e di portarlo a livelli sempre più alti, ma rimanendo indistinto dagli altri momenti dello scontro. Anche la costituzione ed il primo operare delle Brigate Rosse, vero e proprio partito armato strutturato secondo i parametri della verticalizzazione e della clandestinità, cui seguì la formazione denominata NAP (Nuclei Armati Proletari, la cui attenzione era rivolta agli strati sottoproletari, mentre le BR puntavano il loro sguardo alla centralità del proletariato di fabbrica) - per non citarne altre - pareva voler restare nell"ambito dello scontro sociale generalizzato, indirizzandosi precipuamente a colpire uomini e strutture particolarmente invisi ai ceti sociali proletari e sottoproletari, e secondo metodi e strumenti alla facile portata di ogni individuo. Ma, sia per la logica propria alla concezione avanguardista del partito, sia per la logica propria al militarismo, insita nel partito armato, nel giro di qualche anno tali formazioni esplicarono azioni ad altissimo livello militare (per poter colpire obiettivi che ai loro occhi erano o rappresentavano parte del "cuore dello Stato"), che segnarono una prima distanza di parte significativa delle masse proletarie coinvolte nello scontro sociale, anche perché compresse contestualmente dal terrorismo di Stato e dalle stragi di popolazione che operò.

Azione Rivoluzionaria venne formata anche con lo spirito di bilanciare il presunto monopolio della lotta armata in mano ai partiti di tendenza marxista-autoritaria: la presenza di una formazione armata anarchica e libertaria clandestina avrebbe, secondo tale concezione, avuto un ruolo di primo piano nell"evento insurrezionale decisivo ed in periodo postinsurrezionale. Non era affatto assente la convinzione secondo cui la lotta armata portata avanti nella clandestinità sarebbe stata più dirompente ed avrebbe accompagnato e sostenuto con più efficienza il complesso operare del movimento anche specifico.

Avanzerò un solo punto critico, in questa sede, anche per integrare il discorso fin qui fatto, su una delle ragioni che portarono alla formazione di Azione Rivoluzionaria e concerne appunto, i timori che il partito armato (ed essendo partito, ovviamente di orientamento autoritario) finisse per monopolizzare la lotta armata trasformandola in semplice lotta militare (scontro tra eserciti). Tale ragione aveva ed ha solidi fondamenti, ma la soluzione non può consistere nella formazione di strutture ed operatività omologhe, sia pure di segno politico differente, quanto nell"intensificazione dell"agire fianco a fianco con le masse in rivolta secondo metodi alternativi ed altrettanto validi a sostenere la lotta e portarla alle sue estreme conseguenze. In fondo, pur con le differenze di diversa natura che vi sono, la problematica è assimilabile a quella che emerse dopo l"insurrezione proletaria del 19 luglio del "36, nei territori dello Stato spagnolo, concernente la maniera di portare avanti la lotta rivoluzionaria evitando che scadesse in guerra tra esercito fascista ed esercito repubblicano.

Affrontare la repressione antianarchica intensificando la lotta insurrezionalista

La caricatura dell"anarchico bombarolo e stragista, elaborata dalla fine degli anni "60, aveva una sua funzionalità nell"intervento controrivoluzionario complessivo, in quanto basato su di una logica come quelle che segue:
«Una fetta di anarchici buoni ripudia la violenza, ma un"altra fetta, forse meno consistente, manifesta il proprio odio contro la società, aggredendo la società e facendo strage indistinta di cittadini. Erano anarchici Ravachol, Bresci, per non citarne che alcuni, ed anarchici erano gli autori che nel 1921 misero una bomba in un teatro popolare di Milano, il "Diana", facendo strage dei presenti, (così come anarchico era Bertoli che a Milano nel 1972 fece strage di semplici passanti durante l"inaugurazione del busto dell"assassinio di Giuseppe Pinelli). Insomma se vi sono anarchici "santi", ve ne sono pure proprio "diavoli", e la caricatura verterà su questi».

La componente rivoluzionaria più adatta a fungere da caricatura per le necessità della strategia terroristica che il potere costituito stava ponendo in essere per scongiurare la rivoluzione sociale ed arginare la contestazione radicale che prendeva piede in Italia ed altrove, erano proprio gli anarchici, per la loro propria storia.

Il movimento ne fu colpito in pieno, e non poteva essere altrimenti. Tuttavia reagì, prima compatto, in seguito lacerato. Sarebbe un gravissimo errore addebitare tale lacerazione all"effetto determinato dall"articolarsi sul piano della repressione più feroce della caricatura dell"anarchico stragista. In realtà la repressione affrettò semplicemente i tempi in cui tutti gli anarchici fecero, e debbono fare i conti con la propria specifica storia di movimento rivoluzionario antiautoritario.

Le componenti possibiliste, collaborazioniste, social-democratiche sono emerse per quelle che sono nella realtà fattuale. Così come sono emerse negli ultimi lustri le componenti che attendono la maturazione degli eventi sociali per porsi in discussione, e per valutare sul terreno dello scontro quotidiano la validità del loro operare.

Ed oggi le cose risultano un po" più chiare a tutti, o almeno dovrebbero risultare tali.

In fine

È stato rilevato da più parti, che la repressione è inerente l"esistenza del potere costituito, e ciò è senz"altro vero. Ed è pure vero che la repressione non si esplica solamente con inquisizioni, misure di polizia, sequestri, processi e galera, bensì assume le mille forme che il vivere entro i parametri dello sfruttamento e del dominio implica: è repressione il lavoro, perché reso necessario dai rapporti sociali iniqui, ed è repressione il non lavoro, la disoccupazione; così come è momento repressivo l"educazione, l"alfabetizzazione scolastica, ecc. sia come contenuti che come modalità in cui tali contenuti vengono instillati negli individui fin dalla loro nascita.

Tutto ciò è scontato, almeno per noi anarchici. Tuttavia racchiude soltanto un aspetto del problema: è la semplice constatazione di quanto è connaturato all"esistenza del potere accentrato. Si rende necessario, pertanto, andare oltre, gettare lo sguardo al di là di ciò che è scontato.

Non è sufficiente neppure la constatazione di un altro dato di fatto: che gli anarchici, in quanto movimento, son sempre stati oggetto di particolare attenzione da parte delle istituzioni al fine di o eliminarli fisicamente, oppure metterli in grado di non nuocere (in galera, all"esilio, al bando). Il fatto che l"anarchismo sia oggetto periodicamente di ostracismo non significa affatto che le condizioni, le modalità, i fini che il potere costituito si propone siano identici. È necessario scendere nei particolari per cogliere quei momenti che caratterizzano ogni singola situazione nella sua specificità.

E andando a cogliere tali particolari ci si rende conto che, di volta in volta, la vicenda che definiamo "repressione" non concerne soltanto l"accanimento particolare delle istituzioni contro "gli anarchici", bensì concerne anche la situazione interna al movimento. Di conseguenza affrontare la cosiddetta repressione non può che significare cogliere al contempo anche la situazione del movimento nel suo complesso. Ciò che significa, infine, rivalutare le sue tensioni interne, che son diverse di volta in volta, la sua composizione, per rintracciarne quelle caratteristiche che sono oppure non sono corrispondenti nella pratica operativa a quanto l"anarchismo si propone: che è la distruzione definitiva del potere accentrato.

In definitiva affrontare la repressione, anche in momenti come questo che ci viviamo ora, significa affrontare tutte le vicende relative alla lotta anarchica.
Allora ci si rende conto che il panegirico che mi son sentito di dover fare nel lungo soliloquio fin qui espletato, ci è utilissimo, al di là delle conclusioni che ciascuno poi ne trarrà.

Prima di tutto viene fuori che l"atteggiamento del "piangerci addosso", lamentandoci del fatto che il potere ci aggredisce in quanto anarchici, non ha alcun senso, anzi è manifestamente negativo in quanto frutto diretto della più o meno tacita accettazione dei valori della democrazia (che non sarebbero "rispettati"). Ma viene fuori anche l"inconsistenza del ragionamento secondo cui la repressione è effetto diretto dell"attacco degli anarchici allo Stato-capitale: ciò esclude ogni considerazione sulla repressione che si manifesta in maniera diffusa, quotidianamente, e che colpisce tutti i subalterni, anche nei modi che non si traducono immediatamente in galera e processi.

Ripeto, non vi è possibile risposta alla repressione (nella sua duplice accezione di prigione con sbarre, e di galera sociale) che non sia contenuta nella lotta anarchica complessiva per la distruzione del potere in tutte le sue forme.
Ed allora rientriamo nella complessità di tutti i ragionamenti fin qui fatti, in cui ogni elemento anche solo accennato gioca un ruolo fondamentale.
Un confronto fra due momenti particolari di brutale aggressione al movimento si impone per meglio cogliere la dinamica in cui si articola, a mio modo di vedere le cose, la migliore disposizione della lotta anarchica anche nei momenti di più manifesto e consistente attacco al movimento.
La caricatura dell"anarchico stragista dipinta dal potere a partire dal 1969, rappresenta, ma adeguata alla situazione socio-politica di allora, il duplicato della caricatura dell"anarchico-insurrezionalista elaborata nel corso degli ultimi anni. La funzionalità, per lo Stato-capitale, dell"una e dell"altra è indiscutibile.
Ho accennato alle molteplici maniere in cui il movimento affrontò la caricatura dell"anarchico bombarolo e stragista. Per una parte di esso, costretto dagli eventi a rispolverare momenti della storia del movimento che aveva seppellito e taciuto per tanto tempo, l"analisi socioeconomica in generale e quella storica in particolare portava alla conclusione che se non poteva di certo negarsi che alcuni anarchici, nel lontano passato, avevano fatto uso della dinamite nella loro attività rivoluzionaria, risultarono comunque estranei al grosso del movimento che invece praticò un intervento ben diverso. Inoltre la modificazione strutturale del capitalismo, la nuova sociologia della composizione di classe ecc. imponeva al movimento, oggi più che mai, l"abbandono e il ripudio della lotta violenta-armata.

In conclusione, per questa parte del movimento, gli anarchici non potevano essere gli autori delle stragi di cui li si accusava, in quanto non farebbero più uso di dinamite salvo, ma ciò vale solo per alcuni, quanto accadrà nel corso della rivoluzione sociale (lasciata avvolta nelle nebbie dell"inafferrabilità), in cui comunque gli anarchici faranno uso solo della violenza necessaria.
Come si vede, questo tipo di risposta, ovviamente ridotta all"osso nella mia esposizione, era tutta interna alla logica che sosteneva la caricatura elaborata dallo Stato e dai suoi lacché mediatici, ma rappresentava anche l"espressione di una maniera di porsi e di intendere l"azione anarchica. Tale maniera era ed è ben consona alla posizione difensivistica, innocentista, e riflette anche quella logica che sottostà all"atteggiamento del "piangerci addosso".

Ma è poi vero che "l"anarchico" non mette più bombe, non usa più armi, non attacca anche oggi, nell"immediato, lo Stato-capitale? Ovviamente non è assolutamente vero.
Questo è un aspetto del problema reale. "Gli anarchici", anche oggi, fanno uso delle armi e se ne posseggono anche della dinamite, ma il loro attacco non è mirato a fare strage di cittadini (non sono affatto terroristi, gli anarchici) bensì è mirato a colpire obiettivi del potere costituito per distruggerlo. Questo non disse, questo non precisò, questo tenne nascosto quella parte del movimento che dopo il "69 affrontò dall"ottica esclusivamente difensivistica l"attacco diretto agli anarchici che traboccò dalla caricatura dell"anarchico bombarolo e stragista.

E così fece non solo perché al suo interno vi si annidavano componenti collaborazioniste e social-democratiche, bensì perché pretendeva il monopolio dell"anarchismo, cioè di possedere la "vera verità" del movimento, dei suoi scopi, della sua metodologia d’intervento, ed a dimostrazione di ciò mise in moto tutta una serie di elaborazioni e pubblicazioni contenenti analisi e rivisitazioni storiche che "dimostravano" la validità assoluta della loro posizione.
Ma perché vennero individuati tra gli anarchici e non, ad esempio, tra altre componenti del movimento rivoluzionario di classe, gli "autori" delle stragi di Stato? La domanda è pertinente, e dovremmo ripeterla, uguale, per la caricatura dell"anarchico-insurrezionalista.

È sulla risposta, semmai, che dobbiamo centrare la nostra attenzione, e per alcuni anarchici - replicanti quanto in quel frangente sostennero personalità, partiti e movimenti autoritari (coerentemente con sé stessi) - la risposta fu: «perché il movimento anarchico era lo schieramento "più debole" delle componenti di classe, tanto debole da non avere nel parlamento neppure un rappresentante tutto loro che potesse ergersi a loro difesa»!

Ma vi rendete conto? Questa allucinante risposta di alcuni anarchici, che valutano la forza o la debolezza dell"anarchismo sulla base della rappresentanza parlamentare, pur essendo priva di ogni senso è però funzionale, estremamente funzionale, ad una ben precisa posizione.

Ma la risposta potrà essere, ed è, ben diversa, come quella che segue: «Si operò la scelta di additare quali responsabili delle stragi di Stato alcuni anarchici perché la storia del movimento anarchico lo permetteva: ovviamente letta, interpretata e mutilata appositamente per farla calzare alla caricatura dell"anarchico bombarolo».
Non è certo negando la nostra storia che affrontiamo al meglio la nostra lotta attuale, bensì individuandone le distorsioni che tutte le forze autoritarie vi effettuano per riappropriarcene nei modi dovuti.

A seconda di come si affronta anche quel momento particolarmente acuto di accanimento contro gli anarchici, si dispiega una valida o non valida lotta anarchica complessiva e, viceversa, a seconda di come si intende la lotta quotidiana si affrontano anche questi particolari momenti.

Il presupposto non appare scontato, per cui è bene chiarirlo. Pertanto si impone un"altra domanda: cosa vogliamo fare, scansare quella che definiamo repressione, a qualunque costo, oppure affinare la nostra incisività rivoluzionaria in quanto anarchici e in quanto movimento complessivo?

Io credo che chi sceglie la prima strada, ed è sua piena libertà sceglierla, ha ben poco di che discutere ed avanzare pretesti: si pone fuori da ogni possibile considerazione. Ben al contrario a seconda di come ci si dispone nella seconda scelta, anche l"aspetto repressivo può trovare una soluzione accettabile. Il che non significa che riusciremo a tirare fuori dalla galera tutti i nostri compagni e tutte le nostre compagne, ma potremo utilizzare al meglio - e cioè affinare ed ampliare la lotta complessiva - anche il particolare accanimento attuale dello Stato-capitale nei nostri confronti che la caricatura dell"anarchico-insurrezionalista stigmatizza.

Perché lo Stato-capitale ci attacca in maniera massiccia in questo particolare momento? Perché ha montato la caricatura dell"anarchico-insurrezionalista a pretesto ed a sostegno di quest"accanimento?
Son domande che non possiamo eludere. Le nostre risposte conterranno o meno l"anarchismo di ciascuno di noi e delle molteplici componenti del movimento nel suo complesso. E su ciò dobbiamo riflettere.

Personalmente avanzo le seguenti considerazioni, e concludo nella speranza che abbia dato un contributo alla riflessione ed al dibattito in corso.
La prima cosa da considerare è la medesima articolazione interna della caricatura di cui stiamo parlando. Fin dalla sua sortita, originariamente a sostegno di non indifferenti mega-processi come quello per il sequestro della Sblocchi, poi quello più noto come "processo Marini" (dal nome del magistrato che lo sostenne nei suoi diversi gradi di giudizio) si evidenzia la presunta rottura e contrapposizione interna all"anarchismo: quello che sarebbe insurrezionalista e quello che non lo sarebbe. Il che ovviamente è una falsità, perché, come ho di già evidenziato, l"anarchismo è insurrezionalista o non è.

La prima e scontata operazione che la caricatura dell"anarchico-insurrezionalista dovrebbe sostenere, risulta perfettamente in linea con la prassi seguita dallo Stato-capitale operante in Italia nella sua condotta terroristica che ha infine decretato la sconfitta del partito armato: coartare gli anarchici-insurrezionalisti entro formazioni replicanti le organizzazioni armate storiche: BR, NAP, Azione
Rivoluzionaria, ed identificarli soprattutto con quest"ultima, considerate certe affinità.
Col tempo però, lo stesso potere si è reso conto che una tale operazione risultava insostenibile e rischiava di ritorcersi contro se stesso: il partito armato è abito troppo stretto per gli anarchici, anche per quelli insurrezionalisti. Ecco perché si sta intervenendo, da diverso tempo ormai, sul piano politico-legislativo a livello internazionale. Col concorso di più esperienze, ed il ricorso costante alla caricatura ampiamente mediatizzata ad ogni occasione (e si ha tutto l"interesse a trovare occasioni) nelle situazioni che credo più sensibili come quelle italiana, greca, spagnola per attenermi a quelle a me più note, si troverà infine il raccordo necessario tra esigenze formali democratiche e necessità di bandire l"anarchismo dai contesti sociali in cui è presente in maniera considerevole.
Il mettere l"accento sulla presunta spaccatura nel movimento anarchico tra insurrezionalisti e non, ha nell"immediato e nel lungo periodo una sua fondamentale importanza: terrorizzare quanti, al momento, ritengono che l"insurrezione generalizzata deve trovare condizioni oggettivamente e soggettivamente mature per riuscire (e pertanto il loro intervento continua ad essere mirato a rintracciare o costruire nel futuro più o meno lontano tali condizioni), in modo tale da tenerli nell"immediato ben lontani dagli altri. Ora in questa posizione rientra
l"anarcosindacalismo e comunque tutte quelle posizioni, senza dubbio insurrezionaliste, che oggi come ieri fanno convergere ogni aspetto della vita sociale sul momento economico. Se l"analisi complessiva sui mutamenti economicosociali più volte qui accennata ha un minimo di validità, una parte almeno di quanti oggi sostengono tale posizione finirà per trovare nelle cose sociali medesime le ragioni del suo superamento. Nel frattempo però, e qui sta la funzionalità della caricatura dell"anarchico-insurrezionalista, non essendo questa componente coinvolta se non in maniera al momento marginale nelle operazioni antianarchiche, nel complesso si barricherà entro la corazza dei propri convincimenti, e del quieto vivere conseguente, magari mettendosi l"animo in pace ritrovando in tanti elementi della caricatura di stato la conferma dei propri giudizi su questi "figuri che infangano il buon nome dell"anarchia" (e che rischiano di scuotere la tranquilla connivenza che tanti anarchici hanno instaurato col presente storico).

Ma la velocità con cui si evidenziano le trasformazioni sociali imporrà, anche in quest"area, la riconsiderazione critica della concezione dell"esistenza umana e pertanto della lotta anarchica, facilitando l"apertura verso nuove proposte organizzative e metodologiche, come in parte avviene già da qualche tempo, e determinando il superamento di posizioni anacronistiche. Possiamo di conseguenza immaginare un non lontano futuro di ricompattazione di parte consistente del movimento anarchico nell"operatività rivoluzionaria. Questo il potere lo ha compreso, ed è sua intenzione al momento acuire la divisione, frantumare le forze in campo, e prepararsi per l"immediato futuro a fronteggiare questa eventualità.

Ma la caricatura ha anche un"altra non secondaria funzione, per capire la quale dobbiamo aprire lo sguardo ancora una volta al complesso della realtà sociale degli ultimi decenni.

Non credo di sparare uno sproposito se affermo che almeno nelle situazioni sociali interessate direttamente dal fenomeno di cui discorriamo, il movimento anarchico complessivamente inteso è quello che più si è arricchito di energie considerevoli, e dal punto di vista qualitativo e da quello quantitativo. Ciò è nella logica delle cose e rincuora l"analisi appena accennata in questa sede, di quei mutamenti avvenuti a livello sociale nella ristrutturazione che ha determinato l"avvento del postindustrialismo, il crollo dei muri divisori che tenevano separati due modelli di dominio e sfruttamento, l"imporsi di una nuova concezione della vita, a livello planetario, che esula dalla tradizionale ed ottocentesca concezione dell"esistenza, che trovava nel momento economico la sua centralità.

La concezione dello scontro sociale che sottende la pratica dell"anarchismo insurrezionalista negli ultimi decenni, trova riscontro quotidiano nelle modalità con cui si svolgono le lotte sociali più considerevoli e coinvolgenti masse più o meno consistenti di proletari: ciò vale per il "movimento contestatario" nel suo complesso, ma viene ribadito anche in tutte quelle lotte, rivendicative, che coinvolgono la gente comune ed in cui gli anarchici hanno una presenza rilevante sul piano qualitativo (e non solo quantitativo): l"occupazione della cava a Muros, in Sardegna; la lotta contro la TAV in Val Susa, per attenermi a due esempi recenti.

La caricatura mira a scongiurare l"innesto tra la componente insurrezionalista anarchica (maturata anche dall"analisi critica del postindustrialismo, e quindi dalla inedita lettura della nuova composizione e stratificazione sociale) ed i dissensi e rivolte emergenti a livello diffuso: oggi però non è più credibile la macchietta dell"anarchico stragista per cui, chiarito che gli "anarchici buoni" son democraticamente accettati, quelli "cattivi", ovvero operanti nell"immediato secondo la metodologia insurrezionalista adeguata ai tempi, son presentati come confusionari, incapaci di legarsi agli eventi sociali, sostanzialmente stranei a tutti i contesti di lotta e dissenso diffuso che vengono da tale caricatura semplicemente strumentalizzati per farsi autoreclame nel teatro mediatico.

Questa sfaccettatura del prisma caricaturale dell"anarchico-insurrezionalista assume notevole importanza e consistenza non solo perché mira a negare, nascondendola, la tensione più propriamente insurrezionalista, ma perché infonde alla mac

 

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